vincenza tomaselli

“ Ma io come mi chiamo? Se siamo le parole che pronunciamo, io chi sono? Quale parola mi da i natali? “ E così venne fuori il mio vero nome: Chissà.

– “Credo sia la parola che più mi rappresenta” -dissi- . Chissà chi sono, chissà se parto, chissà se torno, chissà! Eternamente in ritardo e in arrivo per il rotto della cuffia e tutto perché odio la programmazione in questa vita che è tutto tranne che un time-sheet predefinito. Chissà… che bel suono questa parola. In fondo mi assomiglia anche nella costruzione delle sillabe che rimandano a immagini ed emozioni.

CHI – SSA’. Prima un suono gutturale che fa pensare a qualcosa che nasce e si ferma tra bocca e petto come fosse incastrata tra il sentire la vita e il volerla raccontare. Poi due splendide ESSE, quelle che di solito si usano per richiedere silenzio, attenzione o per pregare. E alla fine una maestosa A accentata che ricorda solo a pronunciarla, il gusto di menta fresca in bocca in una giornata afosa dove l’arsura la fa da padrona. Una A capace di riempire tutto il palato, concepita nella pancia di una donna, per un attimo naufraga nel cuore come fosse alito d’ amore e poi senza sfiorare denti e lingua liberata appena fuori dalle labbra come musica nell’aria. Chissà, sono io. L’idea di essere nominata ad ogni indugio, speranza, sogno nel cassetto, sliding doors voluto o inaspettato, mi faceva sorridere e io di questo volevo vivere.

Sorrisi. E poi, quando capisci che il tuo nome scelto da altri, non è più al sicuro tra le labbra degli altri, meglio cambiarlo con un altro che arriva sincero dal tuo profondo, così magari, anche nei giorni di piombo ti senti in una botte d’oro.

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